Il recupero funziona in
chirurgia: compresa quella salva-vita die trapianti
d’organo. Al Centro trapianti di fegato dell’ospedale
Molinette di Torino è stato impiantato
con successo un fegato rivitalizzato con una tecnica
considerata «l’ultima frontiera sul fronte trapianti». Si
tratta di una nuova metodica di perfusione cosiddetta “a
caldo”, che rispetto a quella tradizionale permette di fare
un passo oltre: «Rigenerare e utilizzare in
sicurezza organi che altrimenti sarebbero scartati per un
rischio troppo elevato per il ricevente». Dalla Città
della Salutedel capoluogo lombardo calcolano che
saranno una decina all’anno i fegati valutati con questa
nuova tecnica normotermica.
Trapianto di fegato,
alle Molinette di Torino una tecnica all’avanguardia
rigenera l’organo
«Ora – sottolineano gli esperti – si aprono nuove
prospettive future per i trapianti di fegato». Il paziente
trapiantato aveva un doppio tumore al fegato insorto su una
cirrosi fino ad allora non diagnosticata: una sentenza
pesante per un veterinario di Viterbo ancora in attività,
riferisce una nota dall’azienda ospedaliero-universitaria
torinese. Da lì l’inizio di una corsa contro il tempo per
cercare una possibilità di cura nei maggiori centri di
riferimento in Italia, e quindi l’approdo alle Molinette.
Sono state eseguite prima di tutto le terapie per far
regredire almeno in parte la malattia tumorale, che fin
dall’inizio si era dimostrata voluminosa e aggressiva. A
gennaio sono state eseguite due termoablazioni
percutanee (“bruciature del fegato”),
presso la Radiologia interventistica di Paolo Fonio. Poi
a maggio, dopo avere riscontrato un’iniziale buona risposta
alle terapie, l’ingresso in lista in attesa per un trapianto
di fegato da fare il più rapidamente possibile, presso il Centro
trapiantidiretto da Renato Romagnoli. Ed
ecco pochi giorni fa la possibilità di un donatore di fegato
compatibile deceduto, ma i cui organi potevano essere
prelevati per trapianto, grazie al gesto di altruismo e
generosità dei familiari. Una buona congiuntura per il
paziente. Tuttavia – precisano dall’Aou – fin da subito si
era capito che il fegato del donatore, deceduto per
emorragia cerebrale, presentava caratteristiche tali (per
steatosi-fegato grasso ed età di 77 anni) da farlo ritenere
non ottimale e ad alto rischio di non essere in grado di
funzionare dopo il trapianto seguendo le tecniche
tradizionali di preservazione d’organo (cosiddetta
preservazione “a freddo”, tenendo il fegato in ghiaccio dopo
il prelievo sul donatore). È stata quindi usata la
nuovissima tecnica Nmp (Normothermic Machine Perfusion),
ovvero la perfusione a 37 gradi, la temperatura del corpo,
del fegato donato.
Una nuova metodologia
che riduce i rischi per il ricevente e rende l’organo idoneo
comunque
Con lo sforzo comune e il lavoro notturno di tutto un
ospedale – si legge in una nota – è stato eseguito con
successo il trapianto epatico sul paziente. Dopo il prelievo
dal donatore, il fegato è stato trasportato nella sala
operatoria del Centro trapianti, dove è stato
sottoposto alla procedura di Nmp. Questa consiste
nella perfusione continua dell’organo attraverso le cannule
e il circuito ossigenato della macchina, utilizzando sangue
umano da donatori e sostanze nutrienti in soluzione. «Già
dopo 2 ore di vita “artificiale” in macchina – evidenziano i
sanitari – si è capito che la funzione dell’organo si stava
riprendendo in modo ottimale, quasi insperato». Ciò ha
consentito di procedere con l’anestesia del paziente e con
l’intervento chirurgico di rimozione del fegato malato. Dopo
un totale di poco più di 5 ore di perfusione Nmp,
il fegato è stato quindi impiantato sul ricevente. «La
funzione immediata post-trapianto è stata da subito molto
buona e ora, dopo alcuni giorni dal trapianto, il paziente è
in via di dimissione».
(Secoloditalia.it)