Ultimo pezzo. Bis. Concerto finito. Applausi alla band. No, un momento.
«Ho un messaggio. Io
senza il regalo di una donna non sarei qui a suonare, nel mio petto c’è
il suo cuore. Davanti a voi avete un trapiantato: riflettete sulla
donazione di organi». Quattro anni fa Enrico Capuano è morto. Ed è
qui a raccontarlo. Romano, classe 1964, considerato il capostipite del
folk-rock italiano, dal 1982 Capuano calca pachi internazionali ed è
ospite fisso, con la sua Tammurriatarock, al concerto del Primo maggio
di cui è stato anche presentatore. Voce del dissenso, della solidarietà
con gli ultimi, è crollato proprio davanti agli spettatori. «Sapevo di
avere un cuore un po’ scompensato. Stavo attento, forse non abbastanza.
Nell’agosto 2014, durante un concerto ad Avellino, il malore. Si diffuse
la notizia che ero morto. In realtà i medici mi ripresero per i
capelli». L’unica strada era il trapianto. «Ho smesso di esibirmi fuori
Roma. Sul palco dovevo stare praticamente immobile». Il 26 agosto 2016,
la chiamata: c’era il cuore. Un messaggio ai fan, poi il silenzio.
Una ragazza da
sogno
Alcuni mesi fa Enrico, con mille cautele, è tornato sui palchi. Tra una
canzone e l’altra racconta ciò che separa la sua prima vita dalla
seconda. «Non voglio
essere retorico né passare per quello che strumentalizza una situazione.
Mi ha salvato il cuore di un’altra persona e mi distrugge pensare che
dietro a questo ci sia una morte, però posso rendere onore al gesto di
generosità. La donatrice era una donna: prima di addormentarmi per
l’anestesia ho sentito una conversazione. O, forse, ho sognato. Nel
sonno ho anche visto una ragazza bionda. Non so chi fosse. Sono lontano
dalla mistica, eppure ci penso ogni giorno». In ospedale ha scritto
una canzone dedicata a lei: «Viva».
Con questo bagaglio Capuano ha ricominciato a esibirsi. «Non
devo agitarmi, devo curarmi. Sono appena tornato da un tour negli Usa:
in aereo dovevo viaggiare con la mascherina per evitare germi. Molti si
vergognano di essere malati, ci sono artisti che temono di veder finita
la carriera confessando una cosa del genere. Io dico, invece, che è mio
dovere parlarne. Ho la fortuna di stare in pubblico, incontrare gente:
un’occasione per sensibilizzare alla donazione. Ora mi telefonano, mi
scrivono sui social: ma tu come hai fatto? Come si vive dopo? Avevi
paura? Sono anziani e ragazzi, aspettano un trapianto. Alcuni l’hanno
avuto, qualcuno non ce l’ha fatta». E l’affondo: «In
Italia non si dona molto, l’attesa per pazienti è lunghissima. Bisogna
fare qualcosa».
Testimonial
Capuano è diventato un testimonial naturale, senza canali istituzionali,
e quindi senza che il suo messaggio venisse veicolato al di fuori del
circuito dei concerti. Fino a che la storia è arrivata all’Aido, la più
grande associazione di volontariato per la donazione di organi. È stato
il match: il cantautore folk-rock diventerà uno dei volti simbolo delle
campagne informative, come Leo Gullotta, Gianni Ippoliti o la
pallavolista Sara Anzanello. «L’impegno
di Enrico - spiega la presidente nazionale Flavia Petrin - gli fa onore
come uomo e come volto dello spettacolo, che è anche cultura: la sua è
al contempo vera gratitudine e vera solidarietà, perché il bisogno di
trapianti in Italia è ancora molto alto». Qui vivono (bene) circa
50 mila persone dopo l’operazione; in lista d’attesa, ogni anno, sono
novemila. Un cuore può arrivare anche dopo 30 mesi, tempo per molti
fatalmente lungo. «L’Aido,
con i suoi 1,4 milioni di iscritti, fa tutto ciò che può». Come
sostenere il battage per la scelta positiva di coloro che si recano in
Comune per rinnovare la carta d’identità e a cui viene chiesto di
esprimersi sulla donazione di organi, tessuti e cellule. «Vorremmo
evitare che la domanda in anagrafe - prosegue Petrin - venga
posta a un cittadino non informato che magari, solo per timore o
scetticismo, nega la disponibilità». In 3 milioni si sono
pronunciati, di cui 2,7 per il sì. «Si
deve andare oltre. Ecco perché ringrazio Enrico: contribuisce e
contribuirà con le emozioni della sua musica a diffondere anche
l’emozione dell’amore per gli altri».
(Anna Gandolfi,
Corriere.it)