ASSOCIAZIONE ONLUS
TRAPIANTATI ORGANI PUGLIA



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FEDERAZIONE NAZIONALE
ASSOCIAZIONI DI VOLONTARIATO PER LE MALATTIE EPATICHE E TRAPIANTO ONLUS


L'asportazione con radiofrequenza per via laparoscopica è una metodica sicura e applicabile per la distruzione del tumore in pazienti affetti da carcinoma al fegato non resezionabile, scoperta da un gruppo di ricercatori del Belgio.

L'asportazione con radiofrequenza (RFA) è un trattamento sicuro ed efficace nei pazienti affetti da tumore al fegato non resezionabile.
Comunque, c'è poca informazione su questo ottimo approccio, sulla sua napplicabilità, sui risultati clinici e la sua efficacia.
In questo studio, i ricercatori hanno trattato 23 pazienti affetti da carcinoma al fegato non resezionabile usando RFA.

I risultati di questo gruppo di ricercatori sono pubblicati nel numero di Gennaio di Surgical Laparoscopy, Endoscopy & Percutaneous Techniques.

I ricercatori hanno utilizzato RFA per via percutanea in 5 pazienti, in laparotomia in 9, e in laparoscopia in 9. Nel complesso non si è riscontrata né mortalità né complicazioni intraoperatorie.

I ricercatori hanno osservato che la perdita media di sangue era di ml. 13 contro ml. 421 rispettivamente per il gruppo di laparoscopia e quello di laparotomia. La degenza ospedaliera media era, rispettivamente, di 5,7 giorni contro 11,2.

Nuovi tumori epatici si sono sviluppati in 7 pazienti.
Complicazioni post-operatorie intervenivano in un paziente sottoposto a RFA laparoscopica, e in 3 a seguito di RFA per via laparotomica.

Il gruppo di ricerca ha osservato che dopo un periodo di osservazione medio di 12,2 mesi, problemi a livello locale intervenivano in 2 pazienti. Nuovi tumori epatici si sono sviluppati in 7 pazienti.

Il gruppo del dr. Baki Topal ha concluso, "La RFA laparoscopica è una modalità di trattamento sicura e applicabile per ottenere la distruzione di tumori in pazienti selezionati affetti da carcinoma epatico non resezionabile.


Di Rossella Lorenzi
FIRENZE, Italia (Reuters Health) 10 aprile 2003 -
L'abuso di siringhe di vetro per il vaccino della poliomelite nell'Italia meridionale durante il 1950s e 60s potrebbe spiegare l'alta prevalenza di epatite C nella regione, secondo uno studio dell'Istituto Nazionale di Cancro Italiano.

Sin dal tardo 1990, gli epidemiologi hanno saputo che Italia meridionale è iperendemica per l'epatite C, e ci sono stati suggerimenti che questo potrebbe essere dovuto alla passata trasmissione iatrogena. Il Dott. Maurizio Montella ed i colleghi si sono proposti di testare se le siringhe di vetro riutilizzabili usate per la vaccinazione della poliomelite di Salk tra metà del 1950 e il 1960 potrebbe essere la causa.
Le loro scoperte sono pubblicate nell'edizione di maggio del Giornale della Virologia Medica. Il Dott. Montella ha detto a Reuters Health che c'era già una prova indiretta che indicava le siringhe.
"Il fenomeno è circoscritto a determinate zone; dove le siringhe di vetro sono stato largamente usate, c'è un aumento di casi di epatite C," ha detto. Per studiare più a fondo tali ipotersi, i ricercatori hanno attinto da una precedente ricerca su 1,908 persone dai 30 ai 60 anni. I soggetti erano stati originariamente iscritti per dei potenziali controlli per uno studio sui fattori di rischio per il sarcoma di Kaposi.
Non erano stati utilizzatori di droga via endovena, non aveva avuto trasfusioni di sangue, e sono stato selezionati a caso.
La diagnosi sierologica delle infezione da epatite C ha rivelato un alta prevalenza del virus fra le persona i 40 e i 49 anni, con un più alto tasso negli uomini.

Le persone nate tra il 1940 ed gli inizi del 1960 erano quasi tre volte come probabilmente i più giovani soggetti ad avere il virus. "Questo è un dato incontestabile, ed è collegato agli anni in cui la vaccinazione della poliomelite di Salk è stato amministrata," ha detto il Dott. Montella. "L'alto tasso di HCV è molto probabilmente attribuibile ad un abuso e ad una riutilizzazione degli aghi, e siringhe di vetro inadeguatamente sterilizzate," ha detto. Poiché l'infezione del virus di epatite C può essere asintomatica, "sarà utile informare la popolazione dell'Italia meridionale dell'implicazione alla loro salute futura," scrivono gli autori nell'articolo. J Med Virol




Trasmissione del virus dell'epatite C
in una seduta chirurgica ginecologica


Massari M, Petrosillo N, Ippolito G, Solforosi L, Bonazzi L, Clementi M, Manzin A.
Divisione Malattie Infettive Arcispedale ;Santa Maria Nuova; Azienda Ospedaliera, Reggio Emilia, Italy.


Descriviamo un gruppo di infezioni da epatite C (HCV) tra pazienti ginecologiche sottoposte ad intervento chirurgico nella medesima seduta
Abbiamo condotto uno studio epidemiologico per identificare i casi , la probabile fonte di infezione e la via di contagio. Sono state identificate quattro recenti infezioni da HCV . Sulla base dell' analisi dell'impronta genetica e dello studio epidemiologico è altamente suggestiva la trasmissione tra il presunto caso iniziale (una donna HCV positiva che fu la prima paziente della seduta chirurgica) e i casi successivi .
Tutte le pazienti sono state infettate con genotipo 1b. L'analisi sequenziale dei cloni virali sia della regione strutturale envelope (20 cloni dal caso iniziale , 58 dai successivi) che della regione NS5
non strutturale ( 12 cloni dal caso sorgente , 32 dalle infezioni successive ) del genoma virale ha mostrato caratteristiche molecolari più strettamente simili tra il paziente sorgente ed i casi epidemici che tra il virus isolato dal caso capostipite e quelli isolati da 4 pazienti della medesima area geografica , non correlati al caso iniziale , infetti da genotipo 1 b (in questi ultimi casi sono stati sequenziati 33 cloni dalla regione envelope e 30 dalla regione NS5).
La percentuale media di differenza tra cloni è risultata essere 4,69 per la regione envelope e 3,71 per la regione NS5 tra il caso iniziale ed i casi epidemici , contro 6,76 (p =0,001) e 5,22 (p=0,01) riscontrati tra il caso capostipite ed i controlli .
Tra i fattori di rischio analizzati , solo l'essere stati sottoposti ad intervento chirurgico nella medesima sessione mattutina ha mostrato rilevanza statistica ( p = 0,003) . L'analisi ha mostrato che il caso sorgente e le infezioni successive hanno condiviso solo la somministrazione
di propofol in modo multidose.
Lo studio documenta il rischio di trasmissione nosocomiale di HCV e l'importanza di adottare procedure di controllo del rischio infettivo nelle sale operatorie e pone l'attenzione sul ruolo cruciale delle strategie molecolari , specialmente l'analisi sequenziale filogenetica dei cloni
virali isolati, nello studio delle epidemie di HCV.


EPATITE VIRALE C- Tasso di infezione e spontanea sieroconversione di anticorpi anti-HCV durante il decorso naturale dell'infezione da virus dell'epatite C nella popolazione generale

L A Condili (1), P Chionne (1), A Costantino (1), U Villano (1), C Lo Noce (2), F Pannozzo (3), A Mele(2), S Giampaoli (2) , M Rapicetta (1)
(1) Department of Virology, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy (2) Department of Epidemiology, Istituto Superiore di Sanità, Rome, Italy (3) USL, Latina, Italy

Dati di partenza: l'infezione da virus dell'Epatite C (HCV) è ampiamente diffusa nel mondo pur essendoci tassi di diffusione differenti in regioni differenti. I dati sull'incidenza di HCV nella popolazione generale sono scarsi. La scomparsa spontanea del virus avviene nel 10-25% degli individui infettati dopo una infezione acuta, (ma ) esiste ancora una controversia riguardo
la frequenza di scomparsa spontanea durante il decorso naturale dell'infezione nella popolazione generale.
Scopi: la prevalenza di anticorpi anti HCV, il tasso di infezione da HCV, e le cinetiche degli anti-HCV sono stati studiati mediante analisi trasversale della popolazione generale dell'Italia centrale.
Studio di popolazione e metodi: La prevalenza di anti-HCV (EIA-3 Ortho, RIBA-3 Ortho
Chiron) è stata stimata in 3884 individui selezionati casualmente . Il tasso di infezione e le cinetiche degli anticorpi sono state stimate in 2032 partecipanti ai quali era stato prelevato un secondo campione di sangue dopo un periodo medio di controllo di sette anni.
La determinazione dell'HCV-RNA mediante reazione a catena della polimerasi fu eseguita sui sieri del controllo.

Risultati: La prevalenza complessiva confermata di anticorpi anti-HCV era del 2.4%. Due partecipanti ebbero una sieroconversione ad anti-HCV, portando il tasso di infezione complessivo ad 1.4 casi per 10.000 persone all'anno (95% intervallo di confidenza 0.2-5.2 per 10.000 persone all'anno). Dei 36 individui confermati come anti-HCV positivi, sette (19.4%) mostravano una
completa sieroreversione. Sette (87%) di otto individui con risultati indeterminati all'inizio dello studio erano sierologicamente non reattivi alla fine del follow-up. Dei 25 partecipanti confermati essere anti-HCV positivi sia all'inizio dello studio che al termine del controllo, 23 (92.0%) con un profilo sierologico stabile, risultavano positivi all'analisi dell'HCV-RNA alla fine del controllo.

Conclusioni: C'è ancora un rischio permanente, anche se basso, di diffusione di HCV nella popolazione generale in una regione a basso livello di endemicità. In questo scenario , un ampio spettro di modificazioni dei pattern virali ed anticorpali possono essere osservati in pazienti infettati
da HCV.
(Gut, 50:693-696, 2002)



Esattamente il 28 Maggio 2003 l'EPAC ha scritto al Ministero della Salute segnalando che in alcuni ospedali veniva fatto pagare ai pazienti con esenzione 016 (Epatite cronica attiva) l'esame dell'HCV RNA e più precisamente veniva aggiunta una dicitura
"ESTRAZIONE ACIDI NUCLEICI PER HCV" che va ad aggiungersi alla normale dicitura "HCV RNA QUALITATIVO"


Si è quindi chiesto chiarimenti, ben sapendo che è scorretto separare le due procedure.

Questa è la risposta ricevuta dal Ministero della Salute:


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Ministero della Salute
Dipartimento per l'ordinamento sanitario, la ricerca e l'organizzazione

Spett. Comitato EpaC
Via Banfi, 4
20059 Vimercate MI


Oggetto: d.m. n.329/1999 - 016 Epatite cronica (attiva)

con riferimento alla nota del 28 maggio u.s, con la quale si rappresentano difformità applicative del regolamento sulle malattie croniche e invalidanti (d.m. n. 329/1999 e successive modifiche) in diversi ambiti regionali e si chiedono chiarimenti sulla corretta applicazione dello stesso, si precisa quanto segue.

Preliminarmente occorre evidenziare che:
- gli assistiti, riconosciuti esenti per le condizioni e malattie individuate dal regolamento sulle malattie croniche e invalidanti, compresa "016 Epatite cronica attiva", hanno diritto a ricevere gratuitamente, le prestazioni elencate per ciascuna malattia dallo stesso regolamento, selezionate dal medico secondo criteri di appropriatezza rispetto alle condizioni cliniche individuali:

- per la maggior parte delle malattie incluse nel regolamento, compresa "016 Epatite cronica (attiva)", le prestazioni sono individuate tra quelle incluse nel nomenclatore nazionale, allegato 1 al d.m. 22 luglio 1996 "prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell'ambito del servizio sanitario nazionale e relative tariffe" e successive modifiche. Il nomenclatore nazionale non ha subito alcuna modifica dal 1007 ad oggi;

- le prestazioni "91.19.3 VIRUS EPATITE C [HCV] ANALISI QUALITATIVA DI HCV RNA", individuata per "016 Epatite cronica (attiva)", è inclusa nel nomenclatore nazionale e, pertanto, deve essere garantita ai soggetti esenti come definita dallo stesso.

Tanto premesso, relativamente alla specifica questione sollevata da codesto comitato, si fa presente che questa direzione, condividendo le valutazioni rappresentate già in passato, in risposta ad una specifica richiesta di chiarimenti sul contenuto delle prestazioni di cui al codice 91.19.3 ha precisato che la prestazione è comprensiva di tutte le procedure effettuate nell'ambito della stessa; pertanto la procedura di estrazione di acido nucleuico, necessaria per la completa esecuzione dell'analisi qualitativa di HCV RNA, deve essere considerata parte integrante di essa e, quindi, non può essere prescritta, codificata e remunerata come prestazione aggiuntiva.

Si precisa inoltre, che anche la prestazione di cui al codice "91.36.5" Estrazione di DNA o RNA (nucleare o mitocondriale) è inclusa nel nomenclatore fin dal 1996, tra le prestazioni di genetica/citogenetica e può essere prescritta in associazione ad altre del medesimo raggruppamento (genetica/citogenetica) nell'ambito di procedure diagnostiche complesse, che non è stato possibile predefinire nel nomenclatore, attesa l'elevata variabilità di quesiti diagnostici nel settore delle indagini genetiche.

Alla luce di quanto esposto, si ritiene che la problematica rappresentata possa derivare da una errata interpretazione del livello locale, ovvero da interventi normativi regionali che la scrivente non potrebbe comunque condividere nella misura in cui incidono sul diritto alla gratuità della prestazione, riconosciuto ai soggetti esenti

Distinti saluti.

Il direttore Generale
Emanuela De Sanctis Lucentini





CONSERVAZIONE DEL FARMACO

In questo periodo stanno giungendo diverse richieste sulla durata dell'interferone al di fuori dalla temperatura consigliata.
Molti sono in terapia, ma non vogliono rinunciare (giustamente) alle vacanze, e per cui si pone il problema del trasporto
del farmaco.


A questo scopo,si è interpellato direttamente la ROCHE, la quale ha fornito questa risposta:

Nella scheda tecnica del farmaco (in questo caso il Pegasys) sono riportate temperature di conservazione precise: 2-8 °C. I dati di stabilità consentono una conservazione fino a 24 ore a temperatura ambiente, che secondo la normativa italiana rimane nel range tra 15 e 30 °C. Considerato che è estate (e che estate!) consiglierei un trasporto in borsa termica fino a 12 ore, anche se vale la regola (meno è, meglio è).



F. Toccaceli,1 V. Laghi,1 L. Capurso,2 M. Koch,2 S. Sereno,1 M.
Scuderi,1 and The Italian Hepanet Group*

INDAGINE SUI DANNI DELL'INTERFERONE


Sommario: Una indagine multicentrica retrospettiva e` stata condotta per valutare, in pazienti con epatite C cronica, i cambiamenti istologici a lungo termine del fegato provocati dall`interferone (IFN). 112 pazienti (di eta` media intorno ai 46.4 anni) sono sati esaminati. Tutti i pazienti avevano ricevuto un trattamento di IFN di 6-12 mesi (6-18 MU/settimana) e successivamente superato i follow-up clinici, biochimici e virologici per almeno 36 mesi (periodo:36-76). In ogni paziente erano state effettuate due biopsie del fegato: Da 1 a 6 mesi prima del trattamento, e da 12 a 76 mesi
dopo il termine del trattamento.

In 87 pazienti che hanno manifestato un responso sia biochimico che virologico persistente nei 12 mesi seguenti la terapia, i principali valori (indice di Knodell) della necroinfiammazione e fibrosi del fegato nel dopo trattamento (± SD) erano significatamente più bassi dei valori prima del trattamento (2.9 ± 2.2 contro 6.8 ± 2.9 e 0.8 ± 1.0 contro 1.2 ± 1.1, rispettivamente; P <0.01).
In 25 pazienti che hanno avuto una ricaduta nel primo anno, i valori principali della necroinfiammazione e della fibrosi erano simili sia prima del trattamento che dopo ( 7.4 ± 3.2 contro 6.9 ± 3.1 e 1.8 ± 1.3 contro 1.6 ± 1.2, rispettivamente; P >0.05).

Presi singolarmente, la necroinfiammazione era diminuita dell`87% in coloro che avevano manifestato una reazione alla terapia e solo del 36% in coloro che avevano avuto una ricaduta (P < 0.001), mentre la fibrosi era diminuita del 44% in coloro che avevano manifestato una reazione alla terapia e solo del 14% in coloro che avevano avuto una ricaduta (P < 0.001).
In coloro che avevano manifestato una reazione alla terapia con biopsie effettuate nei 12-23 mesi (n=34), 24-35 mesi (n=25) e piu` di 36 mesi (n=27) dopo il trattamento, si era notato una progressiva diminuizione del valore principale della necroinfiammazione ( 2.6 ± 2.1, 4.1 ± 3.4 e 5.2 ± 3.7 punti, rispettivamente; P<0.01).

Un simile andamento si era notato nel valore della fibrosi ( 0.3 ± 0.6, 0.3 ± 0.7 e 0.7 ± 0.9 punti rispettivamente; P<0.05).
In definitiva, tra i pazienti effetti da epatite C cronica trattati con IFN, coloro con reazioni positive nei 12 mesi, al contrario di coloro che hanno avuto una ricaduta nei primi 12 mesi, hanno una riduzione progressiva nel lungo termine, ed in alcuni casi totale del danno istologico al fegato.

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