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Donami la vita di Giancarlo Papaleo

17-02-2012

Nella pubblicazione di un agile libro, Donami la vita, edito a cura dell’ATO di Massafra e scritto sotto forma di diario, Giancarlo Papaleo, uomo di scuola, professore di Lettere e poi preside, narra la propria vicenda di paziente sottoposto a trapianto di fegato.

Papaleo è una persona schietta e trasparente che lotta per la vita, fornito di una piccola ma invincibile arma: la pazienza e la fede, alimentate dal contatto e dalla frequentazione di un uomo dalla religiosità affascinante e coinvolgente, come è stato don Tonino Bello, vescovo di Molfetta.

Avvia il suo libro proprio con la citazione di un pensiero di Don Tonino per il quale l’esistenza è amore, è dono di sé, è comunione. A questo principio ispira il percorso della sua vita, nella famiglia, nelle amicizie, nella scuola, nella malattia angosciosa e drammatica.

Al suo fianco, con una presenza mai ingombrante e mai fastidiosa, Lidia la moglie, che è stata il primo e unico amore della sua vita, con Marilia e Aldo i suoi tesori, i suoi figli. Di Lidia offre un quadro sobrio, non indugia in momenti di sentimentalismo, ma con linee scarne ed essenziali disegna l‘affetto forte, reale, che li lega. Lidia è sempre lì al fianco del marito, defilata, non ruba la scena, ma pronta a difendere con straordinaria forza d’animo il suo Giancarlo.

La scuola è l’altro grande mondo in cui si spandono gli affetti e i costanti valori di riferimento di Papaleo. Preside intelligente ed aperto che opera nel rispetto per i giovani, con onestà intellettuale, con grande serietà professionale, con la gioia dell’amicizia.

Fin dalle prime pagine del libro descrive con tratti indelebili il percorso di vita che lo ha legato all’amico Vito Paolo Tondo: insieme nello stesso asilo, nella stessa scuola elementare, insieme nelle medie e nel liceo, nello stesso corso di laurea, presidi poi entrambi. Due vite che scorrono parallele. Ma Vito Tondo muore tragicamente in un incidente d’auto.

Ed è a lui che Papaleo dedica il suo libro: “mio fraterno amico per la vita e oltre la vita”.

L’autore non manca di rievocare con veloci flash back, che non guastano gli equilibri del testo, gli anni di liceo, l’università, la laurea, le prime esperienze di insegnamento, l’affetto dei suoi alunni, tra cui un particolare cenno a quelli di Policoro che lo confortano partecipando in massa al funerale del padre, le sedi dove ha svolto le sue funzioni di Preside, da Conversano al liceo classico di Matera.

Il diario di Papaleo non cade mai in un intimismo melenso, evita considerazioni banali e scontate. Papaleo scrive con genuinità, come gli detta il cuore, non nasconde la semplicità dei sentimenti, che appaiono sempre veri ed autentici, ignora il gioco retorico, non gli piace esibirsi con la ricerca di parole ad effetto.

La pubblicazione del diario e la sua diffusione sono un atto di generosità di un uomo che ama la vita ed invita con stile delicato e persuasivo a non temere la donazione degli organi, ad essere sensibili e vicini a quanti soffrono, ad ascoltare la richiesta di solidarietà che viene dalla comunità.

La prefazione del libro è illuminante. Si legge “ho scritto con l’unico fine di sollecitare la donazione d’organi, e di tranquillizzare coloro che sono in attesa di trapianto” e continua “il libro è una testimonianza rivolta alla gente per far comprendere che la donazione è un atto d’amore e d’altruismo”.

Dalle pagine del diario emerge la personalità aperta e leale dell’autore, capace di amicizie schiette e profonde, creativa ed efficiente nel lavoro, sostenuta sempre da convinzioni preziose ed autentiche, maturate con le esperienze di vita e con letture attente ed importanti.

Papaleo è un credente, ma non enfatizza la sua fede religiosa, che vive con estrema discrezione e con rispetto per gli altri.

I principi della solidarietà e dell’amore sono i valori forti, i costanti punti di riferimento del suo impegno umano e professionale, non sono mai improvvisati, né costituiscono vuote parole di circostanza.

Traspare con chiarezza la sua impostazione culturale ispirata al personalismo, a quella filosofia cristiana che esalta e lega indissolubilmente insieme la individualità e la socialità: ogni individuo deve curare se stesso per dare poi il meglio di sé alla comunità. Il binomio del legame della cura dell’io con l’impegno sociale ricorre in tutte le pagine del diario.

Ciascuno di noi nel crescere non percorre la strada in solitudine, ma ha accanto a sé la famiglia, la scuola, la comunità in tutte le sue articolazioni.

Per queste considerazioni la donazione degli organi è presentata dall’autore certamente come momento di alta generosità, ma anche e soprattutto come dovere morale, come atto con cui si restituisce alla comunità e alla società il sostegno che esse hanno dato a ciascuno di noi.

Il messaggio del libro è un messaggio di biofilia, di amore per la vita. Papaleo non vuole semplicemente narrare la sua vicenda di trapiantato d’organo, ma vuole contribuire attraverso il racconto della sua odissea a sensibilizzare all’atto della donazione.

E non lo fa per una semplice e doverosa gratitudine, ma per profonda convinzione. E’ convinto della validità della battaglia che l’ATO porta avanti. A questa battaglia vuole partecipare, vuole stare con voi, amici dell’ATO, in tutte le iniziative mirate ad allargare i flussi della donazione, ad infoltire l’esercito dei donatori, a creare un vasto parco di organi disponibili. E noi lo ringraziamo, anche se purtroppo non è presente per motivi di salute. Gli obiettivi per i quali Papaleo ha scritto il suo libro coincidono con i vostri obiettivi.

Nella narrazione del diario c’è inoltre un altro messaggio, un’altra profonda lezione di vita che merita di essere messa in rilievo e sottolineata. Si tratta dei doveri del paziente durante il regime di cura.

Nella malattia Papaleo si comporta in modo esemplare, collabora con i medici, sa attendere, ha fiducia nei confronti dei responsabili che coordinano i momenti della cura, è consapevole che in ogni percorso di recupero è fondamentale ed imprescindibile la volontà e la partecipazione morale del paziente.

Papaleo non è solo nella malattia. Vive la sua angoscia e le sue gioie con la moglie, con i figli, con i parenti,con gli amici, con i medici stessi, fino a interpretare, dopo il trapianto, il volo leggero di una colomba bianca che si posa sul davanzale della finestra della sua stanza, come segno di benvenuto alla vita.

E se tutta la vicenda è vissuta collettivamente, anche il libro si propone come un’opera fatta a più mani.

Il figlio cura l’impaginazione e le immagini, l’ATO si occupa dell’edizione, gli amici rispolverano i ricordi; non manca la presenza di Don Tonino Bello che esalta, come solo lui sa fare, la comunione tra gli uomini e lo stare insieme.

E questo ci conduce ad una ulteriore riflessione. Il trapiantato porta con sé il suo mondo, i suoi affetti, impegna nel sensibilizzare l’opinione pubblica alla donazione tutta la sua famiglia e i suoi amici, allarga la fascia della partecipazione intorno all’ATO, che può avvalersi di questa ulteriore risorsa per le sue iniziative, apre il cuore di tanta gente ad essere disponibili per operare con la vostra associazione.

Papaleo sa bene che sul problema dei trapianti la legislazione italiana è ancora incerta e che la questione di fondo è l’insufficienza degli organi disponibili.

I flussi della donazione hanno bisogno di essere incrementati per rispondere ai bisogni reali dell’utenza.

Servono, pertanto, con urgenza i chiarimenti e i regolamenti attuativi della legge 91 del ‘99, che prevede la regola del silenzio-assenso e che tende a svincolare la donazione degli organi dalla volontà dei familiari del possibile donatore, in quanto questi si trovano ad esprimere il consenso all’espianto in momenti difficili e drammatici senza la serenità necessaria per decidere.

D’altra parte il de cuius come nel linguaggio burocratico viene chiamato il possessore dell’organo da donare, cessa con la morte di avere diritti sulle sue parti corporee; rimane certamente per lui il rispetto e il cordoglio della comunità.

La decisione dell’espianto pertanto, è convinzione di Papaleo e anche mia, dovrebbe essere affidata alla società e regolamentata da un adeguato sistema legislativo. C’è un bene sociale da difendere, c’è la vita di tanti che può essere garantita dalla donazione di un organo. L’egoismo non paga, non fa crescere, produce solitudine, trasforma tutto in un invivibile deserto.

Il trapiantato non è un eremita estraneo alla vita sociale, è invece una cellula attiva della comunità, è un animatore di valori e di esperienze, si fa apostolo di solidarietà e di generosità.

C’è poi un altro aspetto fortemente problematico e di non facile risoluzione nella gestione dei trapianti. Di fronte a una richiesta ampia di organi, che oggi appaiono nel concreto limitati ed insufficienti, qualsiasi legge che stabilisca i criteri di scelta per l’allocazione degli organi si presterà sempre a critiche o a dubbi. Il criterio della gravità clinica del caso, piuttosto che quello del “primo arrivato o prima diagnosticato”’ sembrerebbe il più giusto, ma che dire se colui che è stato scavalcato in quanto meno grave, in attesa di un altro organo fisiologicamente istocompatibile –e ci vuole spesso molto tempo- non riesce poi a sopravvivere?

Per evitare queste difficoltà, qualcuno in base al principio dell’eguale dignità di ciascuna vita suggerisce come criterio di scelta il puro caso. Ma questo non significa abdicare alle proprie responsabilità e scegliere il non scegliere?

Altri ancora introducono criteri sostanziali,come ad esempio quello dell’età. In alcuni paesi coloro che superano la soglia dei sessantacinque anni sono esclusi dal trapianto. Ma è davvero giusta questa soluzione o è una nuova forma di discriminazione, questa volta nei confronti degli anziani? Se un tempo si discriminava in basa alla razza(razzismo) e al sesso (sessismo), oggi con questo criterio si discriminerebbe in base all’età (ageism).

Ed ancora. Se una persona ha contribuito al deterioramento del proprio organo con uno stile di vita non adeguato, alcool, droghe, fumo, è moralmente accettabile escluderlo dal meritare un trapianto, come alcuni sostengono?

Interrogativi complessi che nessuna scelta legislativa può evitare.

Di qui la necessità improrogabile di allargare la disponibilità degli organi da trapiantare.

L’ATO è chiamata oggi a fare una grande battaglia di carattere culturale finalizzata a creare e a sollecitare consenso ed adesione nell’opinione pubblica. E può vincere questa battaglia, se c’è un’idea forte alla base della sua comunicazione. Tale idea è la concezione della vita come dono, è la comunicazione dell’amore come legame di solidarietà tra gli uomini.

Certamente l’ATO ha fatto già tanta strada, ha promosso svariate iniziative di sensibilizzazione alla donazione come quella di questa sera.

E quindi un grazie all’ATO e alle altre associazioni sensibili al problema che hanno voluto questa serata.

Ma la strada ancora non è stata percorsa tutta. Tra gli obiettivi da perseguire in primo luogo quello di avere strumenti legislativi chiari, efficienti ed efficaci.

I trapianti sono certamente uno dei progressi più straordinari della medicina, ma la disponibilità del bene e la sua equa distribuzione costituiscono una sfida ancora aperta, posta alla nozione stessa di giustizia.

E’ questo a mio avviso il messaggio forte che l’ATO e Giancarlo Papaleo ci hanno voluto dare questa sera con il libro Donami la vita: operiamo, mobilitiamoci, perchè il diritto alla vita sia un diritto concreto per tutti.

E quindi concludo come fa Papaleo, con la coniugazione del verbo donare che ci colpisce nel profondo del cuore: io dono, tu doni, egli dona, noi doniamo, voi donate, essi vivono.

 

 

Prof.ssa Carla Gallo

 

 

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