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Nasce una strategia a tutto campo per combattere le malattie del fegato.

 

Il progetto “Liver Match” coinvolge i principali soggetti istituzionali (e non solo) del settore.

Più di 20 mila persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato, come il carcinoma epatico o la cirrosi.

E' il 10% di queste era affetto da epatite C, spesso senza neanche saperlo. In questo contesto, la lotta contro le patologie che colpiscono il fegato è sempre più fondamentale. Una battaglia che passa attraverso l’indispensabile arma dei trapianti.

E proprio per ottimizzare i risultati a breve e a lungo termine di ogni trapianto, l’Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, i Centri Trapianto Italiani e il Centro Nazionale Trapianti del Ministero per la Salute, hanno lanciato il Progetto Liver Match, un grande studio che vedrà protagonisti i 22 Centri trapianto italiani.

L’obiettivo è triplice: definire i parametri per selezionare l'organo più adatto per ciascun paziente, razionalizzare l'utilizzo dei donatori, monitorare i casi di epatite C per una tempestiva prevenzione.

“Più di un milione di italiani è portatore del virus da HCV”, afferma il professor Antonio Gasbarrini segretario dell'Associazione Italiana Studio del Fegato, “anche se l’incidenza dell'infezione da virus C è difficilmente quantificabile, poiché l’infezione acuta è asintomatica nel 90-95% dei casi e viene diagnosticata casualmente”.

Ecco perché diventa fondamentale sapere chi è infettato dal virus dell'epatite C e, dunque, deve sottoporsi rapidamente a cure efficaci per evitare conseguenze ben più gravi.

Ma come fare lo screening e a chi? Tutti gli adulti o solo le persone che presentano un maggior rischio di aver contratto l'infezione? Secondo L’Aisf e la Società italiana di medicina generale, è auspicabile uno screening “mirato” mediante la ricerca di anticorpi anti-HCV su un campione di sangue di tutti i soggetti, anche asintomatici, appartenenti alle categorie a rischio caratterizzate da probabilità di infezione nettamente superiore alla popolazione generale.

“Quando una patologia del fegato cronicizza (per l'epatite C, questo avviene addirittura nell’80% dei casi) e non è curata adeguatamente – spiega ancora il dottor Fagiuoli dell'AISF - il fegato va incontro a cirrosi e ad epatocarcinoma. E, a questo punto, l'unico rimedio è il trapianto d'organo".

Quello dei trapianti in Italia è un quadro positivo, ma va supportato con continuità. “Un’area di implementazione da questo punto di vista”, spiega il professor Umberto Cillo, chirurgo trapiantologo dell'Associazione Italiana Studio del Fegato, “è rappresentata dalla possibilità di migliorare i processi che portano a scegliere quale organo destinare ad ogni particolare ricevente (match donatore-ricevente). L’ottimizzazione di questa scelta, che però richiede un sofisticato sistema di valutazione dei numerosi fattori di rischio, potrebbe notevolmente incrementare i risultati dopo trapianto, soprattutto quando si utilizza un organo non ottimale”.

Negli ultimi anni il numero di donatori di giovane età è molto diminuito, anche grazie alla provvidenziale legge per il casco obbligatorio.                                 

Contemporaneamente, la selettività dei trapiantatori rispetto alla qualità dei fegati donati si è forzosamente ridotta a causa della forte richiesta di trapianto di fegato. Il numero di organi donati con caratteristiche di non ottimalità è quindi andato progressivamente aumentando nel tempo.

“È di fondamentale importanza”, chiarisce il professor Cillo, “comprendere quale sia la giusta combinazione tra organo e ricevente. Un’ottimale combinazione, infatti, garantisce risultati eccellenti nel breve e nel lungo termine anche dopo utilizzo di organi non ottimali”.

Lo studio nazionale ha lo scopo di raccogliere dati che permettano di rendere più oggettiva e riproducibile possibile questa importante scelta di combinazione. AISF e CNT hanno deciso di studiare il modo in cui vengono eseguiti i trapianti e di seguire nel tempo i pazienti trapiantati. "Lo studio – spiega il dottor Fagiuoli - prevede che mille pazienti trapiantati siano seguiti nell'arco di un anno, confrontando i dati del donatore con quelli del ricevente e con i risultati osservati. Dai risultati ci aspettiamo di riuscire a creare un modello di utilizzo dei donatori che funzioni allo stesso modo in tutti i Centri trapianto e in ogni parte del paese".

 

Redazione Staibene – gennaio 2007

 

 

 


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