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V CONFERENZA NAZIONALE DEL VOLONTARIATO

Napoli, 13-14-15 aprile 2007

Relazione del Ministro della Solidarietà Sociale

Paolo Ferrero

Vorrei anzitutto darvi il benvenuto e dirvi perché abbiamo scelto Napoli come sede di questa V conferenza. O meglio, perché abbiamo fatto bene a sceglierla. I motivi sono tre.

Sono contento che a questo tavolo ci sia oggi il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino. La prima conferenza infatti l’ha inventata lei ed è sempre lei che di fatto ha scritto la legge 266. Propongo quindi un applauso, perché se siamo qui oggi a fare questa V conferenza del Volontariato è proprio perché è stato aperto questo percorso. Si è saputa cioè cogliere quella che era una maturazione della società civile e la si è saputa tradurre in azioni amministrative. Cosa che, io credo, rappresenti una parte non piccola di quello che deve essere il lavoro politico.

C’è un altro motivo per cui abbiamo fatto bene a scegliere Napoli. Qualche mese fa c’è stato un ampio dibattito nel paese. Dibattito che dura tuttora e che ha occupato anche le prime pagine dei giornali nazionali. Riguarda l’emergenza criminalità a Napoli. L’emergenza è stata affrontata, come è giusto che sia, con un maggiore invio di forze dell’ordine da parte del ministero degli interni. E anche - con tempi non velocissimi, ma questi sono i tempi della burocrazia - con un progetto speciale su Napoli. Progetto che partirà nei prossimi mesi e vedrà impegnati 2000 giovani in servizio civile. Mi pare un buon segnale perché la crisi sociale, come l’emergenza della malavita, non la si affronta solo sul terreno dell’ordine pubblico. La si affronta mettendo al centro della società l’impegno volontario e in questo caso, in particolar modo, il servizio civile.

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Il terzo motivo che vorrei sottolineare ci fa andare indietro negli anni. Il 23 novembre dell’80, come molti di voi ricorderanno, c’è stato il terremoto in Irpinia. E’ una data da ricordare per l’elemento tragico, drammatico che ha portato con sé, e cioè le tante morti e la distruzione.

C’è stata, però, in quei giorni, un’enorme esplosione di lavoro volontario, di impegno civile e sociale. Una partecipazione maggiore di quella registrata in occasione dell’alluvione di Firenze, ad esempio. Partecipazione che ha visto, forse per la prima volta, l’impegno del volontariato del Nord – ben strutturato e presente – accompagnarsi al grandissimo lavoro del volontariato del Sud, che nel frattempo si era sviluppato ed era cresciuto. Questo va ricordato perché il modo con cui il volontariato è cresciuto, le tappe che ha seguito, hanno contribuito a costruire un comune sentire in tutto il paese. Una unità che dobbiamo anche all’impegno civile e sociale di tante ragazze e ragazzi, così come di persone come Luciano Tavazza, che hanno lavorato nel sud d’Italia a costruire reti e collegare esperienze. Ricordare Tavazza mi fa piacere perché anche io, come lui, ho vissuto un’esperienza in cui il confine tra impegno sociale e impegno politico era assolutamente difficile da rintracciare. Ho un ricordo dell’81, anno successivo al terremoto dell’Irpinia. Stavo a Potenza, colpita anch’essa dal sisma. Ad un certo punto ad un mio amico – qui presente – arriva la telefonata di un volontario milanese che operava nella zona, operaio dell’Autobianchi. Con una ventina di forestali aveva organizzato l’occupazione della Comunità Montana di Muro Lucano. Chiedevano un cantiere di lavoro per gli operai forestali rimasti disoccupati. Non c’era la legge sul reddito di cittadinanza di cui parlava prima Bassolino, ma era un modo per intervenire, per garantire lavoro e reddito. A me piace ricordare questa esperienza del terremoto perché, ripeto, fu un’esperienza in cui impegno sociale e impegno politico erano molto legati.

Detto questo, credo che noi oggi siamo qui per riprendere le fila di un discorso. L’ultima conferenza è stata nell’ottobre del 2002 ad Arezzo. Ci sono diverse valutazioni critiche su come è andata in questi anni. Il documento fatto dal Forum del Terzo settore per questa conferenza ci dice che dopo Arezzo il rapporto tra volontariato e istituzioni nazionali si è logorato e che non sempre

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a livello locale ci sono state evoluzioni positive delle applicazioni delle leggi, a partire dalla 382.

Volontariato e società

Io credo che oggi noi dobbiamo riprendere le fila del discorso e provare a ragionare sulla società e sul ruolo del volontariato nella società. Personalmente credo sia impossibile separare questi due temi. Non si può discutere della società italiana se non si discute di volontariato e non si può discutere di volontariato se non si discute della crisi sociale che attraversiamo come paese. E da questo punto di vista le parole del Presidente della Repubblica - quando diceva "il volontariato non si limita a fare per gli altri ma con gli altri" – rappresentano un punto di riferimento. Non farò qui altre citazioni, non citerò le leggi o la Costituzione, secondo me questa frase del Presidente Napolitano evidenzia chiaramente il nodo di fondo. Così come quando nella carta dei valori sottoscritta dalle associazioni di volontariato si legge: gratuità, solidarietà e partecipazione. Si è detto tutto.

Dobbiamo essere capaci - e questo dal mio punto di vista dovrebbe essere il centro della conferenza - di capire, di vedere, di aggiornare, cosa vuol dire oggi tradurre in pratica il fatto di "fare con gli altri" che deve avere carattere di gratuità, solidarietà e partecipazione.

La crisi sociale

Intanto il tema della società. In questi anni si è discusso più di economia che di società; si discute di come va il prodotto interno lordo, il mercato azionario, i cambi. Credo che questo sia un limite da superare.

Siamo in una situazione in cui non possiamo desumere il funzionamento delle condizioni di civiltà della nostra società solo dall’andamento dell’economia. C’erano tempi in cui lo sviluppo economico, grazie alle lotte del movimento dei lavoratori, portava con sé sviluppo sociale e civile. Oggi non è più così. Oggi, sempre più spesso, può esserci sviluppo economico e allo stesso tempo una maggiore divaricazione a livello sociale. Gente che sta peggio nonostante lo sviluppo economico. La crescita economica, cioè, non garantisce la crescita sociale.

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In secondo luogo ci troviamo dentro una società in cui il lavoro non possiede più quel valore di coesione che aveva in tempi passati. Lasciatemelo dire: quando il lavoro era soprattutto a tempo indeterminato, avere il lavoro significava in qualche modo poter progettare la propria vita. Oggi che per tanti giovani l’attività lavorativa è precaria, a tempo determinato, anche chi possiede un lavoro rischia di non poter progettare la propria vita.

In terzo luogo, la società è più complessa. Prendiamo l’immigrazione. Mi occupo molto di questo tema e mi è del tutto evidente che l’immigrazione - che è un grande fenomeno strutturale e una necessità per la nostra società - rende il nostro modo di vivere più complesso. La costruzione dei legami sociali diventa un processo da costruire consapevolmente, non avviene automaticamente. Così come bisognerebbe ragionare sul fatto che istituzioni storiche - che connotano strutturalmente la nostra società, come la famiglia – hanno progressivamente ridotto la loro capacità di presa sociale. Pensate alle grandi famiglie allargate, contadine, composte da più generazioni, nuclei familiari che erano veri e propri elementi di mediazione e di tessitura sociale. Oggi noi abbiamo famiglie piccole, 3 o 4 persone, a volte monoparentali - così le chiamano - cioè di una singola persona. Il rapporto tra le generazioni non è più necessariamente mediato in queste forme, le forme tradizionali che abbiamo conosciuto. Abbiamo quindi una società che non produce automaticamente coesione; abbiamo bisogno di un di più di capacità di costruzione consapevole per far fronte a questi elementi di crisi e di sfilacciamento delle relazioni sociali.

Il taglio del welfare

Parallelamente, se guardiamo la situazione dal punto di vista dello stato sociale, dobbiamo dire con chiarezza due cose. Che la situazione dello stato sociale non è migliorata in questi ultimi anni bensì peggiorata. Penso che vada detto, altrimenti ci prendiamo in giro. Siamo in una situazione in cui non solo non si è fatto abbastanza, ma addirittura si è tornati indietro. Lo dico perché questo aspetto si lega ad un altro fenomeno. Le differenze interne all’Italia dal punto di vista della rete dei servizi sociali non sono diminuite in questi anni, anzi sono aumentate. In alcune città del Sud la spesa sociale ammonta a 20

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euro a testa, in alcune città del Nord a 400 euro a testa. Si tratta di divari inaccettabili, incompatibili con il fatto di mantenere un tessuto unitario del paese.

Questa compressione della spesa sociale l’abbiamo percepita anche per quanto riguarda il nostro ministero. Siamo riusciti a ridimensionare il taglio del fondo delle politiche sociali del 2005/2006 già alla fine del 2006. Ma se dovessi dire che l’attuale livello di spesa sociale è sufficiente per far fronte all’emergenza che abbiamo di fronte, racconterei una bugia. E la questione che poneva Antonio Bassolino, vale a dire come si affronta il problema di definire una qualche forma di sostegno del reddito per i poveri, perchè di questo si tratta, sia che lo si chiami reddito minimo di inserimento o salario sociale, è un problema del tutto irrisolto.

Il ruolo del volontariato

In sintesi, siamo dentro una crisi sociale pesante e in presenza di uno stato sociale che non ha abbastanza risorse per farvi fronte. Rispetto alla situazione che ho provato a descrivere è necessario discutere qui, in questi tre giorni, di quale sia il ruolo del volontariato. Io credo che questo vada fatto. Perché è in questa crisi sociale che crescono una paura del futuro e un’incertezza rispetto al futuro che tocca sia gli strati sociali più deboli, più poveri, sia gli strati sociali che fino a qualche anno fa venivano chiamati intermedi. Mi sembra che per la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale, molti genitori guardano i propri figli pensando che staranno peggio di come sono stati loro. Io credo che su questo si debba riflettere perché per tutto il periodo dopo la seconda guerra mondiale noi siamo stati abituati a pensare che con il passare del tempo la nostra condizione di vita sarebbe migliorata. E in qualche modo affidavamo al trascorrere del tempo la possibilità del cambiamento. Non a caso qualche ipotesi politica si è chiamata addirittura progressista. L’idea che il progresso porti con sé anche un avanzamento economico e civile. Oggi questa connessione si è spezzata. Su questo mancato legame crescono la paura del futuro, l’incertezza. Cresce una sensazione di impotenza nelle persone; c’è una tendenza generalizzata a percepirsi come vittima. La cosa che a me fa più impressione è sentire un disagio sociale di cui la gente non individua l’origine e

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rispetto al quale, quindi, non riesce a trovare uno sbocco. Mi vengono in mente episodi, che qua e là si vedono, di ricerca del capro espiatorio. Troppo spesso l’immigrato o lo zingaro diventano catalizzatori di paure, capri espiatori di una situazione di disagio diffuso; in questa situazione il ruolo del volontariato è proprio quello di mettere al centro le relazioni sociali. Volontariato come tessitura sociale, quindi. E’ qualcosa che può contribuire a far sì che la società non si concepisca come una serie di atomi sparsi, ma come insieme di relazioni significative. Volontariato come costruzione di protagonismo sociale, quindi. Bisogna riuscire a superare la passività delle persone. A rompere lo stato di insicurezza che diventa impossibilità di muoversi. Il volontario per l’appunto è quello che non solo dice, ma fa. Che non subisce ma costruisce. E’ una pratica in cui si costruisce fiducia sociale, fiducia negli altri, nella possibilità di essere protagonisti del proprio futuro. Non è una specie di danza immobile che si fa sempre nello stesso posto. Credo sia sbagliato considerarlo una sorta di medicamento sociale che non risolve i problemi ma mette solo qualche impacco caldo. Il volontariato, per la sua caratteristica del fare con gli altri, è anche costruttore di senso e di prospettiva dell’esistenza e aiuta a costruire la fiducia nel futuro. Il volontariato così come l’abbiamo definito - cioè una gratuità necessaria, una gratuità, cioè un qualcosa che viene fatto gratuitamente - non è obbligatorio. E’ fatto volontariamente, ma nello stesso tempo è il riconoscimento di una necessità sociale. È questo il binomio che dovrebbe guidarci nella riflessione. E la gratuità accostata alla necessità non costituisce una contraddizione. In questi anni siamo stati abituati a pensare che sia utile solo ciò che si paga. Si è affermato un economicismo dilagante, un modo di misurare il benessere con l’economia - misuro una cosa sulla base della crescita o della diminuzione del suo valore - e l’idea che è utile solo ciò che si paga. E’ necessario ribadire con forza che non tutte le cose che si pagano sono utili e non tutte le cose utili si devono pagare. Il volontariato è esattamente questa gratuità necessaria alla società, senza la quale la società non ha un baricentro, un punto di equilibrio. Elemento fondamentale di una società sono gli affetti. Possiamo pensare ad una società senza affetti, senza amore, senza sentimenti? No, sono tutte cose

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gratuite ma indispensabili, fondanti. Dobbiamo rivendicare la centralità sociale di questi elementi di cui il volontariato, se volete, è la metafora sociale. Lo è perché non riguarda la cerchia ristretta dei propri cari, non è il dono offerto solo perché ci si attende un atteggiamento reciproco, in un rapporto di scambio. Il volontariato è la capacità di individuare la propria comunità allargata, a cui si è solidali: dal mondo al proprio quartiere. Ecco perché possiamo dire che il volontariato è una forma di religione civile e che, in qualche modo, il grado di civiltà di questo paese risiede proprio nella sua capacità di allargare e qualificare le pratiche del volontariato. Vorrei discutere - se siamo d’accordo su questo, e penso che in questa sala lo siamo - della centralità strategica del volontariato, del suo ruolo sociale come "religione civile". A tal fine, poter andare avanti, dobbiamo ragionare su cosa è successo in questi anni. È successa una cosa che va evidenziata. In questi anni di crescita della crisi sociale e di riduzione delle risorse per lo stato sociale, c’è stato uno "stiracchiamento" del volontariato e in generale del terzo settore. Il numero di cooperative sociali obbligate a lavorare sottocosto e con pagamenti ritardati di un anno è un po’ troppo alto in questo paese. Sono troppe le associazioni di volontariato che si sono trovate a fare dei servizi non sempre pagati, producendo una situazione grigia. Situazione in cui non si capiva se si trattava di lavoro non proprio ben pagato - anzi mal pagato - o di volontariato pagato un po’. Dobbiamo discutere laicamente di questa questione. Se non lo facciamo rischiamo uno slittamento su quello che è il volontariato, senza avere consapevolezza di quello che sta succedendo. Dobbiamo ragionare su questo aspetto perché in questi anni in realtà - forse anche per la difficoltà ad avere un confronto tra volontariato e istituzioni centrali che ci segnalava il Forum del Terzo Settore - sono andati avanti dei processi che, se non facciamo nulla, rischiano di snaturare il ruolo del volontariato. Il volontariato è una realtà composita. Ad esempio il nostro è un paese in cui, per ragioni storiche, un pezzo fondamentale del sistema sanitario nazionale è gestito da volontari. Esistono realtà storiche, pensiamo alle Misericordie. A doverlo inventare ex novo, probabilmente non lo si farebbe così. Ci sono tante esperienze nuove. Dobbiamo discutere su come oggi tutto questo si può gestire. I punti su cui

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lavorare sono i seguenti. Primo: il nodo della riqualificazione della spesa sociale e del potenziamento dello stato sociale. Antonio Bassolino diceva "dove c’è un cattivo stato sociale c’è un cattivo volontariato e dove c’è un buono stato sociale ci può essere un buon volontariato". Sono d’accordo. Aggiungerei un elemento. La spesa sociale non è un costo ma un investimento sul futuro; si deve smettere di considerarla un elemento negativo - appunto un costo che bisogna supportare – in funzione dell’idea che i veri investimenti per il paese siano altri. La spesa sociale, la spesa per gli investimenti delle infrastrutturazioni sociali, è valida almeno quanto le altre infrastrutture materiali. Non ne cito nessuna perché rischio di suscitare polemiche ma bisogna ribadire che la spesa sociale non è un costo ma un investimento sul futuro della società. Questo vale tanto più nel Sud, dove siamo ben consapevoli che la capacità di costruire società, laddove non viene esercitata dallo Stato, dalle Regioni, dai Comuni, dalle Province e dalla società civile, va a finire nelle mani di altri soggetti, che sono quelli della malavita organizzata, i quali daranno una loro risposta al problema della crisi sociale. Questo va detto chiaramente. Se non esistono dei vuoti in politica, non esisteranno dei vuoti nella società. O c’è la capacità di fornire risposte in termini di civiltà e di costruzioni di relazioni sociali civili - e allora c’è bisogno di uno stato sociale che risponda ai bisogni sociali - oppure alle emergenze sociali darà una risposta qualcun altro, le forze delle malavita organizzata, e la darà in termini di devastazione e di barbarie sociali. La mafia, la camorra non sono solo fenomeni criminali in senso stretto. Sono forme di occupazione, di organizzazione del territorio. Se vogliamo sconfiggere questi fenomeni dobbiamo essere capaci di produrre un disegno del territorio di altra natura. Non è solo sul terreno dell’ordine pubblico, ma è sul terreno del lavoro, dei servizi che dobbiamo procedere.

Spesa sociale come investimento

Quindi, la spesa sociale come investimento. Da questo punto di vista penso che le questioni che poneva Bassolino sul reddito minimo di inserimento siano corrette. E visto che siamo riusciti a recuperare un po’ di evasione fiscale - e pare che questo recupero continui - questi soldi che abbiamo preso da chi non

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pagava le tasse dovranno essere utilizzati per chi invece le tasse le ha sempre pagate o per chi è così povero che non le ha mai potute pagare. Indubbiamente nella finanziaria del prossimo anno va posta all’ordine del giorno la questione del salario sociale. Nel giro di poche settimane dovremmo riuscire a produrre un disegno di legge sui Livelli Essenziali di Assistenza per quanto riguarda la non autosufficienza. L’obbiettivo è quello di uno stato sociale che fissi dei livelli essenziali di assistenza partendo dalla non autosufficienza, ma bisognerà estendere i L.E.A. – cioè i diritti esigibili - a tutto il resto del settore socio sanitario e del settore sociale. E’ un punto di civiltà. Oggi il settore sociale è esposto agli alti e bassi delle finanziarie. Se c’è qualche soldo in più la finanziaria stanzia un po’ di più per il sociale; se non ci sono i soldi, la finanziaria taglia le risorse per il sociale. Dobbiamo fissare dei Livelli Essenziali di Assistenza, in modo che non esista possibilità di tagliare verso il basso, perchè altrimenti non usciremo mai da questa condizione di emergenza. Il primo punto, quindi, è Livelli Essenziali di Assistenza. Partiamo dalla non autosufficienza, ma costruiamoli anche in altri settori. Il secondo punto: un maggior investimento sulla rete dei servizi. Un maggior investimento sulla rete dei servizi vuol dire avere una rete pubblica dei servizi sociali, senza scontrarci sulle forme di gestione del servizio. E’ del tutto evidente che occorre una rete sociale e dei diritti sociali garantiti dal pubblico - garantiti dallo Stato - e modi di progettazione, di individuazione dei bisogni, di gestione di questi servizi intrecciati tra Stato e terzo settore. C’è un legame tra la gestione pubblica diretta e quello che viene definito il privato sociale, che a me piace chiamare il pubblico non statale. Potenziare la rete dei servizi sociali vuol dire mettere in condizione anche il terzo settore di poter vivere ad una condizione non sottoposta al ricatto delle risorse. Non un terzo settore messo nelle condizioni di dover praticare la precarietà del lavoro e lavoro scarsamente pagato, bensì un terzo settore in grado di produrre innovazione e qualità dei servizi. Quindi costruzione di una rete di servizi che si intrecci con il ruolo del terzo settore, e che veda un miglioramento del funzionamento della pubblica amministrazione. Sul ruolo del terzo settore penso che si debba fare una distinzione. È oggetto di discussione nel mondo del volontariato. Vi propongo una posizione netta.

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Credo che si debba saper distinguere tra l’impresa sociale - che per sua natura produce servizi e occupa lavoro e che quindi stipula la convenzione, vince l’appalto e quant’altro - dal volontariato.

Il volontariato presuppone quell’elemento gratuito dell’uso del tempo che produce solidarietà e partecipazione. Dobbiamo saper padroneggiare le specificità interne del mondo del terzo settore. Giustamente lo chiamiamo terzo settore, perché è tutto basato su pratiche che non producono profitto, e sono pratiche finalizzate a quello che possiamo chiamare bene comune. Bisogna distinguere, all’interno del terzo settore, tra quella che è l’impresa sociale, che non a caso si chiama impresa sociale, e il volontariato. Questa distinzione va mantenuta. Mi è del tutto chiaro che in una impresa sociale si può svolgere lavoro volontario così come in una associazione di volontariato può esservi lavoro retribuito. Ma questo non deve confondere i ruoli. Da questo punto di vista penso che il ruolo del volontariato stia più sul versante della produzione di relazioni sociali - nella costruzione di relazioni sociali nella società - che non sul versante della produzione di servizi. In questo quadro dobbiamo riflettere, anche a lungo, sui nodi che costituiscono questo volontariato, sulla costruzione di comunità. C’è stato in questi anni un aumento delle piccole associazioni di volontariato. C’è chi interpreta questo dato come elemento di crisi. Io non la vedo così. Mi pare ci sia un elemento di costruzione di pratiche sociali positive. Possiamo notarlo nell’espandersi nel cosiddetto volontariato informale, che addirittura non si esercita all’interno di un’associazione, ma è la disponibilità a mettere una parte del proprio tempo a disposizione della collettività. Questo tipo di volontariato, anche quello più piccolo, si salda con un nodo che è la costruzione della comunità. Questa parola va usata perché quella a cui assistiamo è un’estensione di pratiche sociali di volontariato, pratiche che operano esattamente alla ricostruzione dei legami sociali, nel quartiere e nel territorio, che sono del quartiere e del territorio. C’è tanta gente che vive nello stesso condominio e non si conosce. Un tempo il vicino di casa era considerato una risorsa, colui al quale rivolgersi in caso di bisogno, di cui ti fidavi di più, se non altro perchè lo conoscevi meglio. Oggi il vicino di casa è spesso colui da cui pensi di doverti difendere

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perchè non sai chi è. Credo che questo sia un segnale di crisi sociale. Dire che c’è un ruolo del volontariato come costruttore di comunità nella ritessitura dei legami sociali, a partire da quelli più elementari del vicinato. È una cosa importante anche se a qualcuno potrà sembrare banale. Se anche da una conferenza come questa - e non solo per le associazioni presenti ma per tutta l’Italia - venisse fuori la parola d’ordine di organizzare almeno due volte l’anno in ogni condominio un pranzo comunitario, forse ci sarebbe qualche paura in meno sul piano sociale. Sono cose assolutamente banali ma a volte sono proprio queste cose banali che ricostruiscono i legami sociali. Un altro problema che dovremo affrontare è quello dei costi; un problema non piccolo. Quando si discute di qualsiasi cosa si discute di risorse; io penso che la scelta del 5 x 1000 vada resa strutturale, strategica e che non debba più succedere che la si debba recuperare - diciamo così - dopo che in una prima versione della finanziaria era scomparsa. Il 5 x 1000 è stato reintrodotto quest’anno nella finanziaria, e abbiamo lavorato per restringere il campo di chi poteva essere finanziato. Io penso che abbiamo fatto bene a togliere, anche se Rosa Russo Iervolino forse non è d’accordo con me, i comuni e le fondazioni bancarie tra i soggetti finanziabili del 5 x 1000, proprio perché abbiamo voluto lasciare unicamente la ricerca e il volontariato. E credo che per quanto riguarda il 5 x 1000 la parola d’ordine è che deve diventare una misura stabile. Bisogna togliere il tetto massimo – perché quest’anno è stato introdotto il tetto di 250 milioni di euro - e bisogna riuscire a far si che i fondi del 5x 1000 vengano devoluti a chi ne ha diritto, erogati rapidamente a chi ne ha diritto. Bisogna velocizzare. Temo che i fondi delle dichiarazioni dei redditi dell’anno scorso li avrete a settembre. Il ritardo mi pare eccessivo. Per concludere. Sul 5 x 1000, per quanto mi riguarda, l’impegno sarà di lavorare a togliere il tetto dei 250 milioni e far sì che le procedure di erogazione dei fondi siano più rapide. Altro capitolo: le fondazioni. Su queste va fatto un approfondimento e la conferenza può essere un occasione per discuterne. Abbiamo le fondazioni bancarie, abbiamo i centri di servizi per il volontariato, i COGE, abbiamo la neonata Fondazione per il Sud. Bisogna chiarire il rapporto tra fondazioni bancarie e volontariato. Come riuscire a rendere trasparente questo rapporto? Come

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riuscire a far sì che le associazioni di volontariato non siano assoggettate – non diventino clienti di qualcuno - nelle procedure di finanziamento? Il problema non sono le risorse. Quelle sono sufficienti. Possiamo ottenerle da un 5 x 1000 reso stabile, dalle fondazioni, dal resto che si raccoglie normalmente. Occorre invece una discussione pubblica su come vengono erogate. Occorre definire modalità trasparenti. Bisogna sapere come erogare e come determinare le procedure di finanziamento. E’ questa la scommessa. Abbiamo il problema, sul versante del rapporto con lo Stato, di definire qual è il ruolo dell’impresa sociale e qual è il ruolo del volontariato - cioè qual è il lavoro e qual è l’attività gratuita. La distinzione di fondo è quella tra lavoro e volontariato. Tornando alle risorse. Il compito che abbiamo oggi non è quello di avere più risorse ma di riuscire a costruire delle procedure in modo che ogni italiano possa dire "guarda un po’ questi del volontariato, non solo fanno un’attività meritoria con il loro tempo, ma sanno anche utilizzare le risorse finanziarie che ci sono in modo trasparente e chiaro". E’ un esempio che il volontariato deve dare al paese.

Volontariato, formazione e assistenza

L’altro elemento su cui lavorare è quello della formazione e dell’assistenza. Dicevo prima dei centri di servizio. Si è fatto un lavoro importante. Ne sono stati costruiti pressoché ovunque. Dobbiamo lavorare ad un maggior protagonismo, alla progettazione e alla co-progettazione da parte dei centri di servizio. Questi devono diventare uno strumento a servizio di tutto il volontariato che esiste sul territorio. Abbiamo esteso la rete dei centri. Non basta. Dobbiamo riuscire a fare un salto di qualità perché diventino un punto di riferimento effettivo per tutto il territorio. Pensiamo al volontariato di piccole dimensioni. In questo caso è necessario che l’opera dei centri di servizio in tema di formazione sia ancora maggiore; altrimenti rischiamo di avere tante piccole strutture che nascono, vivono e muoiono attorno all’impegno di una persona. I centri di servizio possono avere un ruolo importante in questo caso. Perché se le grandi associazioni hanno strutture proprie, in grado di far fronte al loro sviluppo, questo non vale per le piccole. E la capacità di allargare il

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proprio raggio d’azione col contributo dei centri di servizio è un punto assolutamente importante.

Nella conferenza si discuterà anche di come arrivare ad una revisione della legge, della normativa. La legge 266 ha ormai oltre 15 anni. Si tratta di aggiornarla. Dopo la 266 abbiamo avuto altre leggi sul terzo settore. Adesso abbiamo un problema di attuazione, di messa a punto della 328. Dobbiamo fare una discussione approfondita sui nodi fondamentali. Ne ho citati alcuni e l’ho fatto senza diplomatismi. Per poter discutere in modo proficuo bisogna avere delle posizioni chiare. Dobbiamo far precedere le proposte di modifica delle leggi da una discussione vera e partecipata su queste questioni di fondo. C’è un problema di riordino complessivo delle leggi che regolamentano il terzo settore. Questo riordino non deve però sfociare in una sola legge che consideri il terzo settore come cosa sola. Credo che le specificità che esistono vadano salvaguardate. Bisogna rendere coerente la legislazione, renderla coerente sul piano fiscale, evitare gli elementi un po’ barocchi che si sono sedimentati, aggiornarla rispetto all’esperienza che abbiamo acquisito. Questo lavoro di modifica di legislazione, però, va fatto a partire da una discussione chiara su come intendiamo il volontariato. La mia tesi in proposito è netta. Distinguere il lavoro dal volontariato. Per altri non è così. Bisogna discutere pubblicamente, liberamente e poi scegliere. Le modifiche legislative devono avvenire nella chiarezza delle posizioni. Non ci deve essere la modifica delle leggi - magari qualche commissione parlamentare che si riunisce, prepara gli emendamenti - senza sapere da che parte si sta andando. Compito della conferenza è anche quello di discutere non tanto sugli emendamenti, ma sulla direzione da seguire. E’ nella conferenza che dobbiamo decidere la direzione. Poi magari facciamo la commissione e vediamo come fare gli emendamenti, ma è nella conferenza che si deve decidere. Così come la Consulta del volontariato andrà ricostituita. Ma deve essere potenziata ed avere un ruolo maggiore. Noi oggi abbiamo le consulte anche ai livelli regionali. Il tema della rappresentanza e della rappresentatività del volontariato si intreccia con il terreno della Consulta. Fino ad oggi la Consulta è stata usata come tale dal ministero. Io sono d’accordo di far si che la Consulta non sia solo del ministro e del ministero ma esprima

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anche una soggettività che dica qualcosa di più. Anche questo va messo sul terreno di discussione. Potremmo, senza produrre più organismi, ragionare in questo senso e vedere se da questa conferenza emerge un impegno preciso. Cioè una Consulta che sia la voce del volontariato, e cioè delle grandi associazioni come delle piccole. Una Consulta che riesca a parlare, a essere la voce del volontariato sia per quanto riguarda i maschi che le femmine. Uno dei problemi che abbiamo è che molte donne fanno il volontario ma poche dirigono le associazioni. L’altro giorno, quando ne parlavamo in Consulta, ci si guardava attorno e la percentuale maschile era un po’ eccessiva.

Finisco con due considerazioni. La prima: secondo me bisogna incentivare molto l’idea del volontariato come religione civile del paese. Dovremmo tentare di dargli anche un valore simbolico. Un valore maggiore di quello che oggi ha effettivamente. Altrimenti avremo un estendersi delle pratiche di volontariato senza alcun peso politico. E’ nell’immaginario collettivo della gente normale, nella società che le cose devono cambiare. Mi pare importante che il Presidente della Repubblica ci abbia dato un messaggio e che il presidente del Consiglio venga qui domani. E’ un riconoscimento della centralità della discussione che stiamo facendo. Ma non basta. C’è anche, come dicevo, il problema della costruzione della presenza del volontariato in forme simboliche. Anche su questo bisogna riflettere. Il problema non è solo quello di essere presente ai tavoli di programmazione - per quanto riguarda i servizi sociali, sui tavoli di concertazione e quant’altro - c’è tutto questo ma non è solo questo. E’ proprio il ruolo del volontariato che va chiarito. Per esempio, il ruolo degli anziani. Dovremmo pensare ad una sorta di servizio civile per gli anziani - non come quello per i giovani che vede una retribuzione, diciamo così in cambio di lavoro volontario. Mi riferisco agli anziani che hanno la loro pensione, che devono poter vivere con la loro pensione, e che quindi hanno bisogno di una pensione adeguata. Bisogna tentare di coordinare, mettere in rete e dare un valore simbolico all’attività di volontariato che oggi gli anziani già svolgono. Ci sono milioni di anziani che fanno lavoro volontario, ed è lavoro che non si vede, che non ha riconoscimento sociale. Provare a dire questo: se c’è un’età, quella del lavoro, che va dai 20 ai 55/ 60 anni - qualcuno dice 65 - se c’è un’età del

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lavoro in cui si producono le cose di cui abbiamo bisogno, le sedie su cui sediamo, le macchine su cui viaggiamo, c’è anche un’età in cui si producono relazioni sociali. Va valorizzato il ruolo sociale della terza età. Va valorizzato per la capacità di costruire relazioni sociali. Per la capacità di fare del lavoro volontario un lavoro di costruzione di legami sociali. E allora, se abbiamo il problema generale della valorizzazione del ruolo sociale del volontariato, abbiamo un problema specifico di valorizzazione del ruolo sociale della terza età. Proprio per il contributo che può dare al volontariato. Proprio come segno che l’anzianità non è l’età in cui si costa e basta. Spesso degli anziani si parla solo in termini di costo. Perché le pensioni costano troppo o perché non si è più autosufficienti. Bisogna pensare agli anziani come una risorsa per la ricostruzione dei legami sociali. E da questo punto di vista occorre mettere al centro della riflessione l’intreccio tra terza età e volontariato; come un elemento specifico. Parlo di servizio civile per gli anziani anche nel tentativo di ricostruire un ruolo simbolico per il volontariato.

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Finisco. Non parteciperà purtroppo alla conferenza il dirigente europeo che ci poteva dire alcune cose sul piano dell’Europa. Io ho qui declinato tutto sul terreno italiano, e molto sul terreno della comunità locale. E non dobbiamo dimenticare questa dimensione perché altrimenti si riduce tutto a dimensione internazionale, o quasi. Dobbiamo tenere assieme le due cose. Ci muoviamo in una dimensione italiana che deve essere europea. E visto che l’Italia da questo punto di vista è all’avanguardia rispetto al resto d’Europa, potremmo candidarci ad essere un punto di riferimento dentro l’Unione Europea. Dovremmo candidarci per la costruzione di un lavoro sul volontariato in sede europea. Proveremo a farlo e non dobbiamo dimenticare il volontariato nel mondo. Voglio ricordare Emergency e Gino Strada. Credo che vada resa merito all’attività che ha fatto. Sono giorni tristi per quanto riguarda molte situazioni di guerra. Emergency è un pezzo del volontariato italiano, non è un’altra cosa. Non dobbiamo dimenticare dove siamo inseriti e come siamo messi. Dico questo pensando che anche questo è il ruolo politico che ha il volontariato. In generale io penso che la politica non sia solo l’arte di governare un po’ meglio gli altri. Credo che la politica sia sopratutto aiutare la gente a governarsi da sé.

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Il volontariato quindi non come un pratica politica con la "p" minuscola ma il volontariato come essenza della politica.  



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